lunedì 23 gennaio 2012

Rivoluzione e felicità

Ancora un incontro, ancora ascoltare, registrare, la testimonianza di una donna, Antonella, che negli anni delle lotte femministe aveva 14 anni. Un bel racconto, il suo, denso di dettagli. Le sue parole, molto simili a quelle delle altre donne, ancora una volta mi hanno fatto pensare. Non più alle manifestazioni, alle battaglie… è alla propria rivoluzione, a quella personale di ognuna che ho pensato.
Per Antonella, esattamente come Franca, Anna e le altre, la rivoluzione della sua vita è stata riuscire a conciliare la sua aspirazione ad una libertà personale –mai scontata- con il suo essere donna, e dunque con l’amore per sé, per la sua famiglia. Mi sono chiesta “Se questa domanda –Qual’è stata la tua rivoluzione- fosse stata fatta a un uomo, cosa avrebbe risposto?”
Qualche tempo fa ho sottoposto un breve questionario alle donne che ci seguono, alle nostre amiche, madri, alle donne che conosciamo. In moltissime hanno risposto.
Alla domanda sulla propria rivoluzione praticamente tutte hanno scritto della conciliazione tra l’indipendenza e le aspirazioni sentimentali. Come a dire: da una parte me stessa, dall’altra… l’altra parte, gli affetti, i figli, l’amore. Insieme.
“La mia personalissima rivoluzione è la mia bimba, che adesso ha due anni e che ho deciso di fare nonostante una precarietà lavorativa ed esistenziale costante, il mio modo di voler affermare il mio diritto di realizzare la mia voglia di maternità nonostante tutto” scrive Francesca. Ed ecco Elisa “Dalla famiglia al lavoro: dal rispetto della mia identità in casa e dalla divisione equa dei compiti, alla ricerca scientifica in un settore da sempre di dominio maschile”. Ancora, Paola “La mia rivoluzione è stata inventarsi ogni giorno una strategia per tenere insieme il lavoro, la famiglia, la politica, l’associazionismo delle donne e il tempo per me”.
Anche l’idea della felicità è associata alla quotidianità: “Ogni tipo di amore:  per il compagno della mia vita, per mia sorella ,per le mie alunne, per le mie gatte e  gli animali in genere, per il mare, per i  film di Woody Allen,per gli spaghetti al burro e parmigiano......” scrive Sandra. “Un lavoro appagante e un compagno che ti capisca e ti rispetti” , “Amare (me stessa, la vita, il futuro che non conosco, le persone che mi sono vicino..) ed essere amata”.
Cosa avrebbero risposto i nostri uomini? 
Ci sono delle caratteristiche legate al sesso nella nostra idea di felicità? Nella nostra idea di rivoluzione? Ci sono delle peculiarità squisitamente femminili?

Quando ho iniziato a lavorare con le mie care femministe, ragazze “terribili” e oggi signore adulte e consapevoli, ma non meno assetate di vita, ho pensato che fossero diverse, più dure, forse, di quelle che le avevano precedute.  È difficile da spiegare, ma a volte gli stereotipi con i quali cresciamo sono duri da estirpare. Le femministe sono atee, sono libere, sono estremiste, sono forti.
Le femministe sono donne, sono diverse, sono tantissime, le loro rivoluzioni sono state tante, come diverse le loro felicità.

Qual’è stata la mia rivoluzione?  Inseguire le mie passioni, sempre. A scapito della stabilità economica, della sicurezza del futuro.
Qual’è la mia idea di felicità? Come per tutte le donne delle quali ho letto le risposte, anche per me la felicità è nelle piccole cose. La serenità della mia famiglia, il mio compagno, l’apprezzamento del mio lavoro, i miei amici che ci sono sempre, ricevere una mail con i pensieri di un’altra persona, che non teme di raccontarsi, questo documentario che prende forma, la scelta di una canzone.
Da ragazzina lessi “Un cuore arido”, che mi tocco’ profondamente. Anna, la protagonista del romanzo, era una donna sola, dura, ma profondamente appassionata e passionale. “Un cuore arido” è la storia di alcuni momenti di felicità. “Il cuore di Anna si riempi’ di gioia. Fu una gioia improvvisa, breve. La felicità deve durare solo pochi istanti. Sarebbe insopportabile, altrimenti”, scriveva Cassola.  

domenica 22 gennaio 2012

Claire Simon

"Girare un documentario é credere nella rivelazione del cinema, la più semplice e radicale: il presente si trasforma in presenza, le azioni in storia, gli uomini in eroi"
Claire Simon

mercoledì 18 gennaio 2012

Il corpo

Ho riflettuto spesso sulla differenza tra i film girati e montati da una donna e quelli pensati da un uomo. Sulla questione della diversa sensibilità, tanto è stato scritto.  Succede in tutti i campi, dalla letteratura alla filosofia. Ho letto dei romanzi, dei saggi, ho guardato dei film e ho subito capito che c’era, dietro, la mano di una donna.
E probabilmente se non fossi una donna, diverso sarebbe anche il mio modo di parlare di questa fase del lavoro. “Le storie che so di lei” sta per venire al mondo. È stato concepito –l’idea, raccontare il femminismo salentino-  e ha cominciato a prender forma con i primi contatti, le prime interviste, la scorsa estate –tutte le donne a maniche corte e piedi nudi- , immagini catturate dentro la mia telecamera,  dentro ai miei occhi, e poi trasferite su un computer, sul quale da un mese, quotidianamente, lavoro dalla mattina alla sera. Ascolto, riascolto, taglio, ho imparato a memoria tutte le vostre parole, i vostri vizi, il modo in cui chiudete le palpebre- è inebriante, è faticoso- devo scegliere. Scegliere le frasi più importanti, quelle che raccontano meglio, quelle che si legano in modo più naturale possibile con quelle delle altre donne, le frasi in cui siete più “vere”. E poi metterle in ordine, creare un equilibrio, nel modo più oggettivo possibile. Il documentario è corale, ogni voce ha un ruolo preciso, ogni volto è il tassello fondamentale.
La parte più faticosa del lavoro è stata fatta. Dalle 20 ore di girato, ho selezionato circa un’ora di parlato, che si ridurrà ancora un poco. Ma il corpus, il corpo, c’é. Ha preso forma dapprima nella mia testa, dopo notti insonni, poi nella costruzione vera e propria del film. Adesso ne riconosco ogni forma… l’inizio, la parte centrale, dove si concentrano gli eventi, la conclusione… come un corpo, la testolina che sbuca, che invita lo spettatore a continuare a guardare, le spalle forti, le punte dei piedi – immagino già i titoli di coda… Girare un film è un momento sociale ma intimissimo insieme. È un dovere –culturale, sociale, politico- e ha molto a che fare con i sentimenti e la passione. Sto raccontando la ricchezza della vita - culturale, sociale, politica, interiore- di queste donne. Lo sto facendo con tenacia e determinazione. Sono giorni in cui non penso ad altro, i giorni in cui questo film, il vostro film, il mio film, ha preso corpo, ha iniziato ad esistere. Quello che manca, ora, è tutto il contorno – limare i tagli, correggere i colori, l’audio, aggiungere delle magnifiche immagini d’archivio – quello che manca sono i dettagli che renderanno bello, piacevole, questo film. Ma adesso c’è, ha una forma precisa, tra poco si staccherà dalle mie mani e lo vedrò, lo vedremo camminare da solo in giro per chissà dove.  Paola