martedì 6 novembre 2012

Si ricomincia!

Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un'ottima notizia: abbiamo ottenuto un ulteriore, piccolo finanziamento che ci permetterà di riprendere il lavoro.
Ci siamo fermate, nel mese di marzo, presentando la prima parte della nostra ricerca: cercare di capire cosa é successo nel Salento negli anni '70 e '80, quali sono state le battaglie portate avanti dalle donne, cosa é cambiato grazie a queste lotte.
Oggi abbiamo la possibilità di comprendere quale sia l'eredità di questa storia, di esplorare l'universo delle figlie e delle nipoti delle femministe, di domandarci se sia stato rispettato il patto generazionale. Per farlo, ci stiamo rivolgendo alle nuove generazioni : quella delle trentenni e quella delle adolescenti. Due generazioni che probabilmente vivono e sentono la propria femminilità in maniera molto diversa. Ci stiamo chiedendo, innanzitutto, se le donne oggi si sentono "libere o liberate"... domanda che é stato il filo rosso della narrazione della prima parte di "Le storie che so di lei".
Sarà un lavoro che durerà circa un anno e che coinvolgerà diversi gruppi di donne e alcune classi di istituti scolastici salentini. Ascolteremo altre voci di chi ha vissuto gli anni caldi del femminismo e le confronteremo con quelle di chi quegli anni li ha ritrovati (oppure no) sui libri di scuola o sulle pagine di qualche blog.
Abbiamo appena iniziato e nei prossimi giorni faro' un resoconto di alcuni incontri. Sarà, lo sento, un nuovo, entusiasmante viaggio.

martedì 13 marzo 2012

lunedì 12 marzo 2012

Quello che resta

Mancano pochi giorni alla presentazione del documentario. Pochi giorni, poi il film sarà proiettato su un grande schermo e le protagoniste, e altre donne, e altri uomini vedranno, riassunto il 45 minuti, un lavoro di mesi. Elisa, che modererà l’incontro giovedì, mi ha chiesto, qualche giorno fa, cosa rappresenta questo lavoro per me. Alcune delle donne che hanno partecipato a questa impresa, e che non hanno ancora visto nulla, mi chiedono se sono soddisfatta.

Sono soddisfatta. Ho dato il meglio di me. Coi pochissimi mezzi a disposizione- il risultato è un piccolo miracolo. Sono felice, naturalmente. Sto crescendo dal punto di vista tecnico ed artistico, e noto le enormi differenze –anche a livello di sensibilità- dai miei primi cortometraggi. Oggi rifarei le stesse scelte, e sarei ugualmente soddisfatta.
Le storie, quando vengono raccontate, non sono più solo nostre, non sono più nemmeno di chi le ha vissute. Le storie, che ci piaccia o meno, sono di chi le ascolta, di chi le racconta, di chi le tramanda. Le storie sono di tutti. Si tramandano e si trasformano, diventano nostre, di chi le critica e di chi le ama, di chi le comprende, ma anche di chi non le capisce, ma le conosce. “Alcuni dicono che una parola è morta quando viene detta, io penso che cominci a vivere solo allora” scriveva Emily Dickinson. Per me, anche per le storie è un po’ la stessa cosa. Cio’ che vivo è solo mio, se nessuno lo conosce. Quando lo racconto, comincia a vivere da solo.
Cosa arriverà alle giovanissime che vedranno questo documentario? Cosa arriverà a chi non conosce la parola “femminismo”? Cosa, a chi l’ha conosciuta in prima persona? Quali immagini resteranno? Quali parole?

Qualche giorno fa ho scritto delle considerazioni sullo sguardo femminile in letteratura, e al cinema.
Questo film è fatto da una donna e parla di donne.
Io ho voluto che venissero fuori due cose, principalmente.

Il sorriso delle donne, le risate delle donne, su fatti e racconti importanti. “Talvolta ci capita di vivere esperienze violente sotto un cielo di una bellezza straordinaria. E questi due stati d’animo li viviamo simultaneamente” diceva Claire Simon. A volte la bellezza si nasconde in questi forti contrasti.

Insieme al sorriso delle donne, che vorrei rimanesse impresso negli occhi di chi guarda, ho voluto raccontare la libertà, l’“attitudine” alla libertà di ognuna e di tutte.
E ancora cito Claire Simon “Forse nell’immagine della donna è più difficile ritrovare l’idea di libertà”. Sono parole che hanno un peso politico, estetico, sociale, molto forte. Ritrovare l’idea di libertà – persino al cinema- nell’immagine della donna, è impresa complicata. 

Sorrisi e senso – aspirazione-  di libertà,  questo vorrei che rimanesse.

mercoledì 7 marzo 2012

Dopo  mesi di incontri, interviste, riprese, raccolte fotografiche, ricostruzioni .. siamo felici di invitarvi alla prima proiezione del documentario  


LE STORIE CHE SO DI LEI
Il movimento delle donne salentine negli anni del femminismo
di Paola Manno


GIOVEDI’  15 MARZO ore 18.30
presso le OFFICINE CANTELMO



Il documentario, prodotto da Cult Lab in collaborazione con la Casa delle Donne di Lecce (LFD), è un racconto corale, una sinfonia di storie e ricordi, che esplora vicende lontane nel tempo, la cui eco affascina ed incanta.


Di seguito una breve sinossi del documentario e in allegato la locandina dell’evento.
Saremmo felici se ci aiutaste a diffondere l'iniziativa!


Sinossi: Sandra entra in ambulatorio e spiega a tante giovani donne cos’è la contraccezione, Ginetta denuncia la direttrice dell’ospedale di Galatina che, anche dopo l’approvazione delle legge 194, si rifiuta di praticare gli aborti, Ada, l’angelo del ciclostile, esce con il cappottino buono e la camicia ben abbottonata per andare alle manifestazioni, perché non vuol sembrare una cattiva ragazza…
La storia del femminismo – da Olympe de Gouges a Carla Lonzi – ha attraversato i decenni e le diverse nazioni e ha toccato realtà grandi e piccole, metropoli e cittadine. Il Salento l’ha vissuta in prima persona, sebbene pochi lo sappiano. “Ci sono state occasioni in cui letteralmente abbiamo messo a soqquadro la città”, raccontano le protagoniste. Una proposta che nasce all’interno della Casa Delle Donne di Lecce, legata alla necessità di interrogarsi sul ruolo che il movimento femminista ha avuto in una piccola realtà del Sud Italia, ma soprattutto alla voglia di capire come le lotte di quegli anni abbiano influito sulla vita di tutte le donne.

Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=QhAKft_ubW8
Info: lestoriechesodilei@gmail.com
Fb: Le storie che so di lei
http://lestoriechesodilei.blogspot.com/

sabato 25 febbraio 2012

Virginia

Officine Ergot, un’insegnante e i suoi alunni, la vita di Virginia Woolf ripercorsa attraverso dei testi letti, un’emozione forte. A volte un’ora e mezza sembra un’eternità, ma quella trascorsa insieme ieri sera è andata via velocemente, lasciandomi un gusto amaro in bocca, di insoddisfazione, quasi… continuate ancora a leggere… c’è ancora tanto da dire… e io vorrei ascoltarvi.
Virginia, una donna che ho conosciuto durante gli anni del liceo, ci ha parlato attraverso le parole scelte da un gruppo di alunne. Parole che continuano ad emozionare “Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi” scriveva al marito prima di morire.
Virginia è tornata nella mia vita nel periodo del montaggio del documentario, ed è stato come un faro che ha illuminato quelle ore di registrato. Virginia parlava di stanze, ed è da questa stanza che io sono partita per cercarla in tutte le donne che ho incontrato, ognuna nella propria.
Ed è da questa stanza che riparto per capire dove andro’ domani.

L’incontro di ieri sera mi ha fatto tornare indietro, agli anni del liceo. Anni in cui scopri tante cose, se ben indirizzato. Ho pensato che il ruolo dell’insegnante è fondamentale. Guardavo quella donna con lo sguardo fiero e attorno a lei le giovani alunne e pensavo che, ovunque andranno domani, avranno quelle parole scolpite nella mente, e nel cuore. Che non le dimenticheranno, che saranno parte di loro. Grazie Daniela, perché sei uscita da un’aula, grazie per il tuo lavoro. Grazie alla Casa Delle Donne, per questi incontri.

lunedì 23 gennaio 2012

Rivoluzione e felicità

Ancora un incontro, ancora ascoltare, registrare, la testimonianza di una donna, Antonella, che negli anni delle lotte femministe aveva 14 anni. Un bel racconto, il suo, denso di dettagli. Le sue parole, molto simili a quelle delle altre donne, ancora una volta mi hanno fatto pensare. Non più alle manifestazioni, alle battaglie… è alla propria rivoluzione, a quella personale di ognuna che ho pensato.
Per Antonella, esattamente come Franca, Anna e le altre, la rivoluzione della sua vita è stata riuscire a conciliare la sua aspirazione ad una libertà personale –mai scontata- con il suo essere donna, e dunque con l’amore per sé, per la sua famiglia. Mi sono chiesta “Se questa domanda –Qual’è stata la tua rivoluzione- fosse stata fatta a un uomo, cosa avrebbe risposto?”
Qualche tempo fa ho sottoposto un breve questionario alle donne che ci seguono, alle nostre amiche, madri, alle donne che conosciamo. In moltissime hanno risposto.
Alla domanda sulla propria rivoluzione praticamente tutte hanno scritto della conciliazione tra l’indipendenza e le aspirazioni sentimentali. Come a dire: da una parte me stessa, dall’altra… l’altra parte, gli affetti, i figli, l’amore. Insieme.
“La mia personalissima rivoluzione è la mia bimba, che adesso ha due anni e che ho deciso di fare nonostante una precarietà lavorativa ed esistenziale costante, il mio modo di voler affermare il mio diritto di realizzare la mia voglia di maternità nonostante tutto” scrive Francesca. Ed ecco Elisa “Dalla famiglia al lavoro: dal rispetto della mia identità in casa e dalla divisione equa dei compiti, alla ricerca scientifica in un settore da sempre di dominio maschile”. Ancora, Paola “La mia rivoluzione è stata inventarsi ogni giorno una strategia per tenere insieme il lavoro, la famiglia, la politica, l’associazionismo delle donne e il tempo per me”.
Anche l’idea della felicità è associata alla quotidianità: “Ogni tipo di amore:  per il compagno della mia vita, per mia sorella ,per le mie alunne, per le mie gatte e  gli animali in genere, per il mare, per i  film di Woody Allen,per gli spaghetti al burro e parmigiano......” scrive Sandra. “Un lavoro appagante e un compagno che ti capisca e ti rispetti” , “Amare (me stessa, la vita, il futuro che non conosco, le persone che mi sono vicino..) ed essere amata”.
Cosa avrebbero risposto i nostri uomini? 
Ci sono delle caratteristiche legate al sesso nella nostra idea di felicità? Nella nostra idea di rivoluzione? Ci sono delle peculiarità squisitamente femminili?

Quando ho iniziato a lavorare con le mie care femministe, ragazze “terribili” e oggi signore adulte e consapevoli, ma non meno assetate di vita, ho pensato che fossero diverse, più dure, forse, di quelle che le avevano precedute.  È difficile da spiegare, ma a volte gli stereotipi con i quali cresciamo sono duri da estirpare. Le femministe sono atee, sono libere, sono estremiste, sono forti.
Le femministe sono donne, sono diverse, sono tantissime, le loro rivoluzioni sono state tante, come diverse le loro felicità.

Qual’è stata la mia rivoluzione?  Inseguire le mie passioni, sempre. A scapito della stabilità economica, della sicurezza del futuro.
Qual’è la mia idea di felicità? Come per tutte le donne delle quali ho letto le risposte, anche per me la felicità è nelle piccole cose. La serenità della mia famiglia, il mio compagno, l’apprezzamento del mio lavoro, i miei amici che ci sono sempre, ricevere una mail con i pensieri di un’altra persona, che non teme di raccontarsi, questo documentario che prende forma, la scelta di una canzone.
Da ragazzina lessi “Un cuore arido”, che mi tocco’ profondamente. Anna, la protagonista del romanzo, era una donna sola, dura, ma profondamente appassionata e passionale. “Un cuore arido” è la storia di alcuni momenti di felicità. “Il cuore di Anna si riempi’ di gioia. Fu una gioia improvvisa, breve. La felicità deve durare solo pochi istanti. Sarebbe insopportabile, altrimenti”, scriveva Cassola.  

domenica 22 gennaio 2012

Claire Simon

"Girare un documentario é credere nella rivelazione del cinema, la più semplice e radicale: il presente si trasforma in presenza, le azioni in storia, gli uomini in eroi"
Claire Simon

mercoledì 18 gennaio 2012

Il corpo

Ho riflettuto spesso sulla differenza tra i film girati e montati da una donna e quelli pensati da un uomo. Sulla questione della diversa sensibilità, tanto è stato scritto.  Succede in tutti i campi, dalla letteratura alla filosofia. Ho letto dei romanzi, dei saggi, ho guardato dei film e ho subito capito che c’era, dietro, la mano di una donna.
E probabilmente se non fossi una donna, diverso sarebbe anche il mio modo di parlare di questa fase del lavoro. “Le storie che so di lei” sta per venire al mondo. È stato concepito –l’idea, raccontare il femminismo salentino-  e ha cominciato a prender forma con i primi contatti, le prime interviste, la scorsa estate –tutte le donne a maniche corte e piedi nudi- , immagini catturate dentro la mia telecamera,  dentro ai miei occhi, e poi trasferite su un computer, sul quale da un mese, quotidianamente, lavoro dalla mattina alla sera. Ascolto, riascolto, taglio, ho imparato a memoria tutte le vostre parole, i vostri vizi, il modo in cui chiudete le palpebre- è inebriante, è faticoso- devo scegliere. Scegliere le frasi più importanti, quelle che raccontano meglio, quelle che si legano in modo più naturale possibile con quelle delle altre donne, le frasi in cui siete più “vere”. E poi metterle in ordine, creare un equilibrio, nel modo più oggettivo possibile. Il documentario è corale, ogni voce ha un ruolo preciso, ogni volto è il tassello fondamentale.
La parte più faticosa del lavoro è stata fatta. Dalle 20 ore di girato, ho selezionato circa un’ora di parlato, che si ridurrà ancora un poco. Ma il corpus, il corpo, c’é. Ha preso forma dapprima nella mia testa, dopo notti insonni, poi nella costruzione vera e propria del film. Adesso ne riconosco ogni forma… l’inizio, la parte centrale, dove si concentrano gli eventi, la conclusione… come un corpo, la testolina che sbuca, che invita lo spettatore a continuare a guardare, le spalle forti, le punte dei piedi – immagino già i titoli di coda… Girare un film è un momento sociale ma intimissimo insieme. È un dovere –culturale, sociale, politico- e ha molto a che fare con i sentimenti e la passione. Sto raccontando la ricchezza della vita - culturale, sociale, politica, interiore- di queste donne. Lo sto facendo con tenacia e determinazione. Sono giorni in cui non penso ad altro, i giorni in cui questo film, il vostro film, il mio film, ha preso corpo, ha iniziato ad esistere. Quello che manca, ora, è tutto il contorno – limare i tagli, correggere i colori, l’audio, aggiungere delle magnifiche immagini d’archivio – quello che manca sono i dettagli che renderanno bello, piacevole, questo film. Ma adesso c’è, ha una forma precisa, tra poco si staccherà dalle mie mani e lo vedrò, lo vedremo camminare da solo in giro per chissà dove.  Paola